Continua la serie sulle foto naturalistiche e paesaggistiche, che inserisco per evitare che il sito finisca nelle mani di un antiquario, dal momento che di foto astronomiche con questo tempo non c’è n’è neanche l’ombra (ecco, manco a farlo apposta, è appena cominciata la pioggetta quotidiana del pomeriggio).
Questa foto viene dall’aprile scorso, quando, negli intramezzi tra un’aquazzone e un altro, le piante sono riuscite a prendere abbastanza sole da fare i fiori (in ritardo di venti giorni). L’alberello in questione è un pruno selvatico, che fa delle prugne grandi meno di un centimetro, talmente ricche di vitamina C da essere amarissime e per questo quasi immangiabili.
Ho scritto “quasi” perché ovviamente ne vado matto. Solo che per avere i frutti bisogna aspettare almeno la fine di agosto: questo fa capire quanto tempo debbano aver impiegato gli uomini del passato per selezionare le varietà (frutti grossi, oppure dolci, o piante resistenti) che oggi si trovano sparse qua e là tra le campagne e le vallate. Queste sottospecie, che fanno parte della enorme ricchezza del nostro paese, sono costantemente minacciate o a rischio di estinzione a causa della globalizzazione dei consumi e di politiche agricole scellerate; spesso si è fatto troppo poco per tutelarle. È da augurarsi che oltre alle questue dei mercati finanziari, i governi di tutt’Europa possano in futuro dedicarsi anche a proteggere i suoi campi (e prati).