Oggi ho potuto assistere ad uno splendido arcobaleno proprio dietro casa. Il fenomeno non è raro, ma è decisamente fuori stagione, perché di solito capitano frequentemente nel periodo compreso tra agosto e fine ottobre (lo stesso dei temporali). I cambiamenti climatici sono però ormai un dato di fatto, bisogna voler essere ciechi per non accorgersene: vent’anni fa, quand’ero bambino, nel fondovalle (300 m s.l.m.) nevicava ogni anno, anche se non abbondantemente, e la neve restava qualche settimana. Si è progressivamente ridotta a partire dagli anni 2000; quest’anno non solo non se n’è vista manco l’ombra, ma la temperatura non è mai scesa sotto zero!
Torniamo all’arcobaleno. Avete mai notato che per descrivere bene il fenomeno occorrono almeno quattro lingue? In Italiano si dice “Arcobaleno”, cioè un arco che è un baleno, qualcosa che compare e scompare repentinamente. In Portoghese e Spagnolo di dice “Arco-iris”, un arco con i colori dell’iride. In Francese “Arc-en-ciel”, l’arco che sta in cielo. Infine in tedesco è “Regenbogen”, l’arco di pioggia. Solo con la cittadinanza europea si riesce a mettere tutto insieme!
Qui sopra c’è una panoramica dell’arco primario, quello che si vede normalmente. Grazie alla posizione favorevole della pioggia e di un varco nelle nuvole, le gocce ancora fitte sono state investite dalla luce solare praticamente diretta, determinando dei colori molto nitidi e intensi; si è reso così possibile vedere ben quattro ordini di duplicazione delle bande di colore verde, azzurro, indaco e viola, un fenomeno dovuto alla natura ondulatoria della luce e ai conseguenti effetti d’interferenza. La foto sopra è stata realizzata a partire da cinque pose minori, scattate con una piccola fotografica compatta, e unite con il programma Hugin. Ne ho realizzato anche una seconda versione, che ha un campo inquadrato più grande; dato che non sono riuscito a decidermi su quale sia la migliore, includo anche questa.
Nelle foto soprastanti, nei punti dove l’arcobaleno termina si vede bene che esso continua anche davanti agli alberi che nascondono lo sfondo, con intensità minore. Questo fatto è significativo, perché spesso si sentono fare domande del tipo “Ma se vado vicino all’arcobaleno, cosa si vede?” oppure “Quanto distante è?”. Ebbene, con un po’ di dispiacere debbo dirvi che queste domande non hanno alcun senso: l’arcobaleno è un fenomeno puramente ottico, non è certo un oggetto che si può toccare, ma non si può nemmeno dire che è in un posto o in un altro. In altri termini, se io fossi corso fino all’angolo in fondo al campo dove l’arcobaleno sembra finire avrei solo potuto, se fortunato, vedere un altro arcobaleno ancora più in là. L’arcobaleno si forma quando le gocce d’acqua in sospensione in aria disperdono la luce solare, poco importa se sono lontane centinaia di metri o se, spruzzate con un nebulizzatore, a pochi centimetri. Più che esserci un unico arco ad una ben precisa distanza, si può meglio dire che c’è un cono (con un apertura di circa 42°) del quale l’osservatore vede una sezione, come nel disegno che ho fatto qui sotto.
Come spesso accade, anche questa volta è apparso un secondo arcobaleno, a breve distanza dal primario. Ciò accade perché quando la luce entra nelle gocce d’acqua (che sono sferiche) e le attraversa disperdendosi, solo una parte esce dalla goccia al caratteristico angolo di 42° rispetto alla direzione antisolare. La frazione rimanente va incontro ad una ulteriore riflessione prima di uscire ad un angolo diverso, di circa 52°; le gocce che, rispetto all’osservatore, si trovano a quell’angolo, disperdono la poca luce che non è già fuoriuscita verso chi le guarda, generando il tenue (ma neanche tanto!) arco secondario. Ma non è tutto! In condizioni ottimali dovrebbe essere possibile osservare anche altre riflessioni, che sono però tanto deboli da non essere quasi mai visibili.
Concludo con una galleria di immagini che colgono gli aspetti che ho sin’ora elencato, solo una piccola parte di quelli coinvolti; come il fatto che il cielo tra i due arcobaleni è più scuro, o che durante alcune ore del giorno gli arcobaleni non possono fisicamente apparire. Dietro un fenomeno metereologico così familiare, e sempre bello, si nasconde una quantità enorme di interessanti fatti scientifici. L’arcobaleno ha anche il merito di essere forse l’unica occasione nella quale le persone comuni scrutano per un attimo il cielo, sempre visto come qualcosa “a prescindere” e mai indagato. Il laboratorio più grande del mondo non è a Ginevra o sotto il Gran Sasso, ma è l’Universo stesso, che tutti possono guardare. Basta volerlo.
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