
Volgonsi i secoli, danzano l’ombre, il colmo cade e il fondo rialza. Balena il vespero dei prigionieri, dita rosate su falci e memorie. Tu vago vaghi viandante di vuoto, nella canicola l’aria accecata. Cenci di brume sia sopra che sotto, guizzi d’eterno poi stilla la notte. Cinque è il quadrato e tredici otto, torna nel sogno all’anime rotte.
Post in English : Venus and Priaforà
Alla fin fine, uno sguardo o una foto sono solo coincidenze particolari: ignari fotoni che vagavano verso ignote direzioni, catturati e piegati dalle alchimie dell’ottica, ci lasciano un’impressione elettro-chimica, una memoria della loro esistenza.
Ho assistito a molte di queste coincidenze e di diverse c’è una testimonianza su questo sito. La foto in apertura ritrae il pianeta Venere, nella sua fase di stella della sera, mentre transita attraverso il foro del Monte Priaforà, la sera del 16 febbraio. Qualche volta le coincidenze capitano per caso e per fortuna, e allora è grande lo stupore di chi le vive. Ma qualche volta, invece, vanno cercate e costruite; questo articolo vuole essere un riassunto della mia ricerca del passaggio perfetto.
l’Idea della foto nasce dalle precedenti osservazioni del Sole, della Luna e di Giove. Fotografai quest’ultimo quasi 10 anni fa, grazie a un avvistamento fortuito in una nottata turbolenta; all’epoca feci a mano una serie di conti trigonometrici per trovare il punto dove mettermi, ma lo dovetti correggere all’ultimo istante perché l’incertezza nella determinazione delle posizioni era troppo grande. Di notte in notte, la posizione di Venere nel cielo può cambiare molto più velocemente di quella Giove (perché è più vicina al Sole) e per vederne la bella fase attraverso il foro del monte un tele-obiettivo leggero e facilmente trasportabile non sarebbe bastato. Per calcolare il punto preciso dove mettere il telescopio, servivano delle posizioni molto più precise di quelle trovate con Google maps…
la Salita. Il primo passo è quindi stato il determinare con precisione le coordinate geografiche del buso del Priaforà. Complice l’inverno esageratamente mite di quest’anno, non è stato difficile affrontare le cinque ore di percorso per raggiungere l’arco naturale. E ne è valsa la pena: è stata una splendida camminata!
Per i curiosi: il Priaforà si può raggiungere facilmente dal vicino monte Novegno, attraverso il passo di Campedello, ma noi velesi usiamo di solito gli antichi sentieri dei taglialegna che percorrono in lungo e in largo il vasto bosco che cresce sulle pendici del monte. Sono salito assieme al mio amico Omar per quello delle tre bocchette dal Sojo Prasalbo, un percorso ripido ma panoramico. Non sottovalutate mai i rischi che anche montagne basse come il Priaforà (1659 metri sul livello del mare) possono porre; anche su questo monte qualche anno fa c’è stata una disgrazia.
Raggiunto il buso, per determinarne la posizione precisa ho usato il ricevitore GPS del mio telefono, assieme ad un programma gratuito e open-source: GPSLogger. L’applicazione ha molte opzioni di configurazione e una volta fatta partire salva un tracciato della posizione in formato GPX, KML (Google Earth) e CSV semplice. Prima di iniziare la presa dati, ho per buona misura ricalibrato la bussola del telefono tramite l’antico programma Sky Map (ex Google Sky Map) e ho controllato la ricezione con il fido GPS Cockpit. È quest’ultimo passaggio che mi ha permesso di rendermi conto di una fattore importante, discusso nel prossimo paragrafo. Per prendere i dati, ho fatto partire l’acquisizione, ho aspettato che la posizione si stabilizzasse e ho registrato le posizioni per qualche minuto muovendomi un poco all’interno del foro. In seguito ho usato la media di tutte queste posizioni come coordinate del buso:
Ma il risultato era strano. La quota di 1637 metri è di soli 22 metri inferiore a quella della vetta, che però s’innalza ben più sopra. E il programma GPS Cockpit forniva invece una misura istantanea di 1589 metri. Da dove veniva questa discrepanza? Chi aveva aggiunto 50 metri al monte?
il Geoide. Lasciando le malefiche e aberranti fantasie di complotto nell’oscena discarica dove meritano di essere, il fatto che la Terra non abbia una forma matematica perfetta non dovrebbe suscitare alcuno stupore. Anzi, non dovrebbe nemmeno essere essere argomento di discussione, tanto è una banalità! La forma della Terra è indefinita e indefinibile: del resto, che forma geometrica hanno un gatto, un sasso o un’onda? E non sono forse il gatto, il sasso e l’onda pezzi di Terra? L’approssimazione sferica è ottima per quasi tutte le situazioni che si possono immaginare facilmente e richiede di essere sostituita con qualcosa di meglio solo quando si ha a che fare con questioni prettamente geografiche. Un tale modenese da parte di madre mi dice che persino nella genesi un certo briccone nota che il mondo è tutto schiacciato sui poli. L’ellissoide di riferimento WGS84 è il più usato dei modelli che tengono conto di questo fatto, perché è alla base del sistema GPS. La differenza tra il raggio polare e quello equatoriale è di circa 21 km, lo 0,3%. Ma nemmeno il WGS84 cattura l’essenza della forma della Terra, semplicemente perché la Terra una forma non ce l’ha! E se ce l’avesse, cambierebbe ogni volta che vi allacciate le scarpe o che cade una foglia! Quindi, tanto vale riferire le coordinate all’ellissoide WGS84, che è ciò che fanno i satelliti di navigazione.
Ma se l’ellissoide mette pace a latitudine e longitudine, la quota è più capricciosa. Siamo abituati a riferirla al livello del mare… ma a parte il fatto che questo cambia continuamente con le onde e le maree, cos’è il livello del mare per qualcosa che è in cima a una montagna? A questa domanda si tenta di dare una risposta con il geoide. Il geoide è la realizzazione di una superficie equipotenziale immaginaria, definita in modo da scostarsi minimamente dal livello medio del mare. Ciò significa che se l’acqua fosse un fluido magico privo di massa e sostanza, che permea il mondo e che non subisce onde e maree, la quota della superficie di questo oceano impalpabile sarebbe la superficie del geoide, sulla quale l’energia potenziale gravitazionale rispetto alla Terra è constante. Il geoide non è la forma della Terra, come certi commentatori pedanti sostengono su reddit per rispondere ad altri commentatori mentecatti, ma un modello della sua gravità e forza centrifuga. La quota del geoide locale può scostarsi dall’ellissoide WGS84 in un intervallo di pressapoco un centinaio di metri in positivo o negativo; questi corrispondono allo 0,5% dello schiacciamento polare corretto dall’ellissoide e allo 0.001% del raggio terrestre.
Ebbene, su tutta l’Europa occidentale il geoide è sopra l’ellissoide di riferimento: c’è cioè un’ondulazione del geoide positiva e nei pressi delle Alpi questa è ancora leggermente più alta, perché la grande massa della catena montuosa modifica localmente la gravità. Sul monte Priaforà e nelle zone circostanti la quota del geoide sul WGS84 è di circa 48,5 metri. Sottraendo questo valore dall’elevazione WGS84 misurata col GPS si recupera la quota sul livello del mare del buso del Priaforà: 1589,5 metri, settanta metri più basso della vetta.
i Campi. La discussione sulla quota ellissoidale mi aveva quindi fornito un’informazione importante: non potevo affidarmi alle quote su mappe e carte per il mio esercizio geodesico: erano calcolate rispetto ad un ellissoide o al geoide? E quando erano state calcolate? Con quale riferimento? Per capire il punto esatto dove stazionare il telescopio avevo bisogno di una griglia di punti attorno alla zona nella quale volevo potermi spostare per cercare l’allineamento. La risoluzione dei dati geografici di Google maps e software simili è troppo bassa per poterne fare qualcosa di buono e ne avevo avuto una prova già quando avevo fatto il timelapse di Giove. Non sono riuscito a pensare a nessun’altra soluzione che campionare io stesso le campagne dove vivo, servendomi nuovamente del telefono e del suo ricevitore GPS.

Armato di telefono, ho quindi passeggiato per i campi per un’ora e mezza abbondante, depositando un punto GPS ogni tre secondi circa. Non mi sono mai allontanato più di 300 metri da casa, ma ho camminato per quasi sei chilometri, pensando continuamente alla curva di Peano. L’immagine soprastante mostra il tracciato che se n’è formato, con ogni punto spaziato più o meno dal precedente a seconda della mia velocità mentre camminavo. Avete mai visto un tracciato GPS più mostruoso? Anche in questo caso ho escluso i primi punti, presi appena dopo l’accensione del ricevitore GPS del telefono, in quanto poco accurati.
i Conti. Presi che furono i dati, bisognava trasformarli in qualcosa di utile. Dal momento che ormai leggo e scrivo in python persino di notte (emisfero sinistro e destro ancora non si sono messi d’accordo su quale versione usare), mi è venuto del tutto naturale scrivere un piccolo script per estrarre le informazioni. Lo script esegue queste operazioni:
- Lettura del tracciato preso sul buso (tramite il file CSV salvato da GPSLogger e pandas) e media delle determinazioni delle coordinate.
- Trasformazione delle coordinate WGS84 latitudine, longitudine e elevazione in coordinate ECEF (Earth-Centered-Earth-Fixed), un sistema di coordinate cartesiane con l’origine al centro della terra e solidale con essa, misurate in metri. Questo passaggio è necessario per poter poi proseguire più facilmente col successivo. Per questa semplice trasformazione mi sono servito di una funzione dal pacchetto pyproj.
- Calcolo dell’azimut e altezza dell’arco naturale come visto da ciascuno dei punti campionati nella campagna. Originariamente pensavo di trasformare anche questi punti in coordinate ECEF e di usare una matrice di rotazione, ma ho poi trovato una funzione pronta nel pacchetto pymap3d. A questo punto sono note le coordinate altazimutali dell’obiettivo e anche la sua distanza in linea d’aria da ogni potenziale punto di osservazione.
- Ha inizio la vera e propria ricerca dei passaggi; per questo, mi sono servito pesantemente dell’ottima libreria skyfield di B. Rhodes. Per prima cosa, il programma cerca con una risoluzione grossolana quando avviene l’avvicinamento massimo di Venere al foro del monte, così come visto da un punto di osservazione di riferimento, pressapoco medio rispetto a tutti gli altri. Il conto viene eseguito per una ventina di giorni del mese di febbraio, ottenendo una serie di tempi di riferimento per ciascuna serata. Questi tempi della congiunzione più stretta non vengono usati per i conti seguenti, ma servono solo a determinare una finestra temporale di mezz’ora (più e meno quindici minuti) entro cui eseguire la ricerca precisa.
- All’interno di questa finestra, l’algoritmo calcola per ogni punto campionato sul terreno la posizione apparente di Venere e ne determina la distanza angolare da quella del buso, visto da quel preciso punto. Il calcolo viene iterato per ogni secondo nell’intervallo di tempo di mezz’ora; la distanza di Venere viene quindi determinata 1800 volte (mezz’ora) per ciascuno dei circa 1800 punti, e per 20 giorni: 1800×1800×20 ≃ 65 milioni di volte!
- I dati così ottenuti vengono salvati su disco. Benché esistano formati molto efficienti per questo tipo di dati, ho deciso comunque di salvare i contenitori (dizionari) come semplici file yaml. Questo perché, se necessario, il formato permette facilmente di essere letto da una persona, rendendo le operazioni di debug iniziale più semplici. La distanza della congiunzione più stretta (per ciascun punto e tempo) viene aggiunta come header al file:
#out_16.yaml
#closest conjunction at 0.0012 on index (np.int64(591), np.int64(1126)).
#point -0.0008022388888863372, 0.0016091022222226034, 344.94.
#time 2025-02-16T18:40:18.465Z. - La mole di dati può poi essere rappresentata tramite un paio di altri script, che producono un grafico della minima distanza vista da ciascun punto oppure un video della separazione per ogni intervallo di tempo. Uno di questi grafici è la figura precedente, dove la scala di colori indica i primi d’arco di separazione angolare massima.
Dato che il foro del monte ha un diametro massimo di pressapoco tre metri e si trova a circa 4,3 km di distanza radiale dai punti di osservazione, il suo diametro angolare apparente è di poco più di due minuti d’arco. La sua proiezione sul terreno, ovvero la sua “ombra”, è quindi molto stretta e basta spostarsi di pochi metri per uscirne. Fatti i conti, la domanda restava: sarebbero bastati per trovare la posizione giusta dove mettersi per vedere Venere attraversare l’arco?
Bellatrix. Dalla mia avevo un piccolo asso nella manica. Conosco una stella che, quando guardata dalla finestra giusta, tramonta attraverso il buso del Priaforà, ogni giorno. E non è una stella fioca, ma Bellatrix, la stella guerriera sulla spalla di Orione, tra le trenta stelle più brillanti del cielo! Così mi sono alzato all’una di notte per cronometrare il passaggio, riuscendoci a malapena e attraverso spesse foschie. Conti alla mano, la previsione era che da quel punto e per quell’istante la congiunzione avrebbe dovuto essere di un minuto d’arco, dando una buona conferma alla validità dei calcoli.

Ma a quel punto il meteo ha iniziato a peggiorare, e non solo: per il mio lavoro di ricercatore vivo in Germania e posso tornare a casa in Italia solo nei fine-settimana. Durante tutte le successive serate fino a venerdì 14 le nuvole hanno occultato qualsiasi osservazione. Quel giorno ha piovuto a dirotto, ma mezz’ora prima del tempo previsto il cielo si è rasserenato un poco. Vista la posizione molto favorevole, ho preparato un cavalletto con un teleobiettivo. Sfortunatamente, le foschie si sono raddensate pochi minuti prima del momento buono, ma le foto mostravano comunque, debolissima, una traccia del passaggio…
gli Strumenti. Il giorno 15 il cielo era magnifico e terso e nel tardo pomeriggio, speranzoso, ho iniziato a preparare gli strumenti. Ho optato per un telescopio Mak-Cassegrain con una focale da 1300 mm e un rapporto f/10 per cercare di prendere un’inquadratura ravvicinata con la fase, usando la 60Da (formato APS). In parallelo, ho montato un pesante ma ben costruito rifrattore da 400 mm f/4, per prendere un campo più ampio e veloce con la Z7 (formato pieno). Infine, su un cavalletto mobile ho messo la mia vetusta 1000D al fuoco di un tele-obiettivo da 300 mm e f/5.6. L’idea era che, se mi fossi accorto in tempo di uno sbaglio nella posizione, avrei potuto perlomeno cercare di correggerla all’ultimo momento e prendere ancora una sequenza utile con la vecchia 1000D.

Per rifinire la posizione ho preso un altro abbondante quarto d’ora di tracciato GPS attorno al punto previsto, confermando la linea centrale sulla quale mi sarei dovuto mettere. Tutto era pronto, ho scattato delle foto al monte al crepuscolo da usare poi come fondo per la composizione. E poi all’ultimo momento il solito caos giocherellone del meteo ha voluto metterci la sua zampa. L’umidità, sollevatasi durante la giornata, si è ricondensata appena è calata la notte, e il monte si è ammantato in una cappa impenetrabile e opaca. Avevo fatto tutto per niente.
la Volta buona. Con non molte speranze, il giorno dopo mi sono preparato di nuovo. Conti alla mano, se il 14 il passaggio era avvenuto praticamente di fronte a casa e il 15 m’ero dovuto spostare di circa 100 metri, il 16 mi sarei dovuto mettere a 75 ulteriori metri di distanza, in mezzo a un campo impantanato che avevo campionato solo perché “non si sa mai”. Il meteo era piuttosto variabile e si era alternato tra schiarite e nuvole tutto il giorno. Ho iniziato a montare gli strumenti ben tre ore prima del tempo e tutto si è svolto in uno stato trasognato come di sonno, scudo di difesa anticipata verso un’altra probabile delusione.

Ma se c’è una cosa che ho imparato in questi anni scrutando i cieli per passione e per mestiere, è che tutto il lavoro che sta dietro a un progetto, tutto il darsi da fare per raggiungere un obiettivo, tutto il ponderare su una scelta importante, tutto l’anelito che ci spinge a realizzare un sogno, tutto questo non è tutto ciò che conta. La fortuna, il caso, il caos e l’imprevisto contribuiscono in ogni aspetto dell’esistenza tanto quanto, se non più, di tutto il nostro lavoro. E se da un lato tutto questo può sembrare angosciante, da un altro punto di vista è, francamente, una liberazione.
Beh, questa volta il caos ha voluto darmi una chance, e il mio lavoro è stato buono, perché il passaggio di Venere nel buso del Priaforà si è visto chiaro e bello come l’avevo immaginato, esattamente dal punto in cui mi ero messo.
Tutte e tre le camere l’hanno catturato, anche quella piccola che avevo messo a un paio di metri di distanza per coprire un’area più grande. Ma in quel momento tutta la bellezza e la gioia erano per le pupille su quel misterioso e vecchio occhio buono, improvvisamente illuminato, coi riflessi sulla neve e sul suo arco…
La pietra antica non emette suono,
o parla come il mondo, come il sole,
parole troppo grandi per un uomo…
al Computer. Come spesso accade, ma nessuno si prende la briga di raccontare, l’avventura non finisce con le foto felicemente fatte e la vista folgorante della stella della sera, al suo massimo splendore, attraverso l’occhio del monte Priaforà. Finisce nelle ore e giorni seguenti al computer, elaborando le foto prese, montando le due composizioni, e costruendo il video in time-lapse che vedete qui sotto. E, se volete, scrivendo questo articolo.
Questa piccola ma dolce stravaganza è durata quasi un mese, ma sono contento del risultato. Camminando e passeggiando, ma anche spostandomi in auto, per un po’ non riuscirò più fare a meno di vedermi in movimento nelle tre dimensioni, come se fossi un uccello che vola sempre rasente il terreno. Per farne il resoconto su questo sito vi ho dedicato più tempo di quando sia servito per scrivere tutti gli articoli degli ultimi dieci anni messi assieme. Spero vi sia piaciuto, e se è così, lasciatemi un commento… così almeno so se qualcuno l’ha letto! 🙂
Buone orbite a tutti voi e buona fortuna nella ricerca delle vostre, personalissime, congiunzioni.
Valentina
Ciao Giovanni,
Non finisci mai di stupirmi! Omar mi ha fatto leggere questo tuo ultimo “trattato” ed è veramente molto interessante!
Complimenti per l’idea e la perseveranza.
Un abbraccio forte,
Vale
Giovanni Ceribella
Ciao Vale,
Grazie per il caro messaggio! Sono contento che il “trattato” ti sia piaciuto!
Spero di vederti presto, ho delle novità su quel famoso numero 6210001000 e su qualche suo amico… 😉
Ciao!
Giovanni
Loris
Gran bel lavoro, complimenti, mi auguro di poterti sentire in sede a descriverci, come solo tu sai fare, i preparativi ed il compimento di cotanta impresa.
Ciao, grazie.
Loris
Giovanni Ceribella
Grazie Loris! Sono contento che le foto ti siano piaciute. E, certo! Posso passare a Schio un venerdì sera se vi interessa un resoconto dal vivo.
Un caro saluto,
Giovanni
Renzo Dal Grande
Bravissimo Giovanni , letto tutto in un baleno e poi riletto, confido che verrai un venerdì in sede a spiegarci per bene come tuo solito. Fai venire voglia di studiare e approfondire quanto dici e imparare l’uso di Python. Con ammirazione
Renzo Dal Grande
Giovanni Ceribella
Caro Renzo,
Grazie del commento e sono contento che l’articolo ti sia piaciuto! Python non è per niente difficile e anche per questo è diventato di fatto lo standard nell’analisi dati di quasi tutti i progetti scientifici. Consente una flessibilità difficilmente uguagliata nei linguaggi di programmazione di livello più basso (es. C, C++). Ad esempio, se uno ha delle immagini astrofotografiche, un algoritmo per ridurle si può fare semplicemente così:
import glob
import numpy as np
import tifffile as tif
# Qui python usa il modulo glob per
# interrogare il sistema operativo
# e ottenere la lista delle posizioni dei
# file bias, flat, etc..
bias_paths = glob.glob(“foto/bias/*.TIFF”)
flat_paths = glob.glob(“foto/flat/*.TIFF”)
dark_paths = glob.glob(“foto/dark/*.TIFF”)
light_paths = glob.glob(“foto/dark/*.TIFF”)
# Qui legge ogni immagine tramite
# la libreria tifffile e le mette in un array.
# Ciascuna immagine è a sua volta un
# array numerico tridimensionale: due
# dimensioni per le coordinate del pixel,
# la terza per i tre colori.
# Es. un’immagine 600×400 pixel RGB
# a 8bit viene caricata come una tabella di
# 600x400x3 = 480000 bit.
bias_list = [ tif.imread(path) for path in bias_paths]
flat_list = [ tif.imread(path) for path in flat_paths]
dark_list = [ tif.imread(path) for path in dark_paths]
light_list = [ tif.imread(path) for path in light_paths]
# Calcolo il master bias come media di
# tutti i bias. “axis=0” serve perché altrimenti
# calcolerebbe la media anche su tutti i pixel
# e i colori, restituendo un numero invece che
# un’immagine.
master_bias = np.average(bias_list,axis=0)
#Conversione da lista ad array numerico
flat_list = np.array(flat_list)
#Calcolo il master flat sottraendo alla lista dei flat il master bias e facendone la media.
master_flat = np.average(flat_list – master_bias, axis=0)
#Similmente, calcolo il master dark, ma con la mediana.
dark_list = np.array(dark_list)
master_dark = np.median(dark_list – master_bias, axis=0)
light_list = np.array(light_list)
#Sottraggo bias e dark a ogni frame…
light_list_cal = (light_list – master_bias – master_dark)
#…e divido per il flat
light_list_cal = light_list_cal / master_flat
light_mean = np.average(light_list_cal, axis=0)
light_median = np.median(light_list_cal, axis=0)
#Il canale rosso della media
red_mean = light_mean[…,0]
#La prima riga e colonna di pixel della media
row_mean = light_mean[0,:,:]
col_mean = light_mean[:,0,:]
#Immagine monocromatica
bw_mean = np.average(light_mean, axis=-1)
#equivalente a:
bw_mean = ( light_mean[…,0] +
light_mean[…,1] +
light_mean[…,2] ) / 3
from astropy.stats import sigma_clip
light_sclip3 = sigma_clip(light_list_cal, sigma=3,axis=0)
#Salvo
tif.imwrite(“media.TIFF”,light_mean)
tif.imwrite(“mediana.TIFF”,light_median)
tif.imwrite(“sclip3.TIFF”,light_sclip3)
Ovviamente, python può fare molto di più che l’elaborazione immagini. Per questo lavoro l’ho usato per calcolare il punto da dove si sarebbe potuto vedere il passaggio, ma c’è chi lo usa ogni giorno per qualsiasi cosa, dal training di intelligenze artificiali alla generazione di musica, dall’analisi spettroscopica di una stella al disegno di grafici per un giornale. È appunto molto versatile e le possibilità sono praticamente infinite.
A presto!
Giovanni